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Le Noise - Rassegna Stampa (pt.2)


LA NUDA APOCALISSE DI NEIL YOUNG

C’è un solitario signore sessantacinquenne col cappello da cowboy e lo sguardo burbero che fa dell’incredibile garage rock. Gli bastano le sue chitarre, un’acustica celestiale su due ballate, ma soprattutto la sua leggendaria Gibson Les Paul roboante e qualche pedale per distorcere il suono. Questo, in tutta la sua fortissima sincerità, è l’ultimo lavoro di Neil Young, Le Noise, che sta per «il rumore», cosa che il nostro sta giostrare molto bene, e per il cognome del produttore. Non c’è altro, solo lui, le chitarre e un produttore, il conterraneo Daniel Lanois (U2, Bob Dylan e decine d’altri) che si è occupato essenzialmente di far «suonare» calda, inquieta e piena di riverberi la stanza di registrazione. «un uomo su uno sgabello e io che faccio la mia bella figura nelle diverse fasi della registrazione», come ha spiegato Lanois, che si è comportato da vero adepto del rocker canadese. «Volevo che Neil capisse che ho passato anni a studiare e analizzare suoni nella tranquillità di casa mia e ci tenevo davvero a offrirgli qualcosa che non poteva aver mai ascoltato prima. È difficile arrivare a realizzare un nuovo suono dopo cinquanta anni di rock‘n’roll, ma penso che ce l’abbiamo fatta». Difatti in oltre quaranta anni di carriera Young non aveva mai fatto niente di così «nudo», un apocalittico tappeto sonoro perfetto per parlare delle sue urgenze, qualcosa di terribilmente scuro, notturno, nato, come i due raccontano, durante varie giornate di luna piena e con il cuore appesantito dalla scomparsa del chitarrista, compagno e amico di vecchia data Ben Keith. Urgenze come l’amore e la guerra (su “Love And “War”, dall’andamento un po’ latino: «Ho visto ragazzi andare in guerra lasciando giovani mogli / ho cercato di spiegare ai loro figli che il loro padre non tornerà più a casa»), ma anche momenti di riflessione sul proprio passato (sull’epica “Hitchhiker”, una vecchia canzone che racconta un viaggio autobiografico sotto effetto della droga, dal Canada alla California, canzone che gira da anni sotto diverse forme e che finalmente ha preso i suoi contorni definitivi) e continue evocazioni di un’America perduta, simbolo universale di perduta innocenza. Un’America dove ancora per poco sferragliano le rotaie, corrono liberi i bisonti e volano i proiettili delle doppiette. Lo fa in quello che probabilmente è il pezzo migliore dell’album, la ballata “Peaceful Valley Boulevard”, sorella della vecchia Cortez the killer: «Un giorno gli spari risuonarono nella pacifica vallata / dio stava piangendo come pioggia / prima che la ferrovia arrivasse a Kansas City / e i proiettili partissero dal treno per colpire il bisonte». Ma assieme a Love and war questo è l’unico momento acustico (e comunque incredibilmente «pesante», nel senso di peso specifico) di un disco rumorosamente elettrico, arrabbiato e distorto. Album che si apre con il graffio di “Walk With Me” e prosegue con “Angry World”: «Questo è un mondo arrabbiato / sia per il businessman che per il pescatore / questo è un mondo arrabbiato / e non c’è dubbio che tutto andrà come è stato pianificato» 
Silvia Boschero, L’Unità


RUMORE E DOLCEZZA: UNA CHITARRA SOLITARIA PER RINNOVARE IL ROCK
 
«È uno stratega dei sentimenti capace di parlare in modi diversi / custode della chiave di tutte le porte / quando lo incontri capirai che niente può liberarlo / cedigli la strada: è il solitario». Oltre 40 anni fa Neil Young scrisse profeticamente l’autobiografica “The Loner”, da cui prese il nome di battaglia «il solitario». Young è un solitario perché esistono e convivono - spesso contraddicendosi - mille Neil Young, dal balladeer country all’ispiratore del grunge. Ora, con Le Noise, esprime la milleunesima personalità: chitarra e voce in piena libertà «pilotate» dagli incredibili effetti di Daniel Lanois (mago della produzione con U2, Dylan e mille altri). Un disco vibrante e anomalo con schitarrate filtrate dalle diavolerie elettroniche di Lanois. Magnifico il suono e splendide le ballate, sei scariche elettriche impreziosite da due perle acustiche come “Love And War” e “Peaceful Valley Boulevard”. «Questo è folk metal - spiega Young - il suono di chitarra più eccitante che io abbia mai prodotto attualizzando il folk con la violenza dell’heavy metal. Doveva essere un semplice disco acustico, poi Lanois mi ha lasciato da solo in una stanza con quella chitarra su cui ha lavorato per costruire un nuovo suono e tutto è cambiato. È difficile inventare qualcosa di nuovo dopo tanti anni di r’n’r, ma ce l’abbiamo fatta». «Ci tenevo ad offrire a Neil qualcosa che non poteva aver ascoltato prima - sottolinea Lanois - il suono multistratificato di quella chitarra che contiene tutto - un sound acustico, elettronico e di basso; non appena l’ha imbracciata ha capito che stavamo portando le potenzialità della chitarra ad un nuovo livello».
E la novità sta proprio in questo; non un pastone sperimentale e pesante come l’ultima parte del triplo cd Arc/Weld, ma una perfetta comunione di armonie tradizionali e contemporanee, di invenzioni e di richiami al mito del rock. Insomma grandi brani come “Walk With Me”, “Sign Of Love”, la drammatica “Hitchhiker” che senza sconti narra la sua vita da schiavo della droga (un intenso outing su hashish, anfetamina, eroina, cocaina con fantasmi non ancora del tutto scomparsi: «Ho cercato di lasciarmi dietro il passato ma non mi molla mai», canta Young). «Non ho paura di cantare in prima persona sentimenti, esperienze ed errori». Piuttosto guarda sempre avanti senza preoccuparsi delle reazioni o dei desideri dei fan. «Per ora niente band, farò il solista, e il mio obiettivo non è quello di rifare all’infinito i miei pezzi più noti. Con la morte di Ben Keith difficilmente riformerò i Crazy Horse. Ora guardo al futuro. Più cercano di influenzarmi più vado oltre, nessuno deve dirmi cosa fare. Mi piace quando la gente apprezza ciò che faccio ma va bene anche il contrario». Le Noise, dopo un attimo di spiazzamento per qualcuno, dovrebbe mettere d’accordo tutti. 
Antonio Lodetti, Il Giornale 2010

 
Preceduto da una serie di esibizioni live in cui venivano provati i nuovi pezzi, questo disco di Neil Young assomiglia in maniera impressionante a un recital. Non tanto perché il cantautore (termine davvero riduttivo, in questo caso) si fermi a spiegare ognuna delle otto canzoni, quanto per il tono intimista e minimale di registrazioni e scaletta, aperto però a esplosioni e divagazioni improvvise e spiazzanti. L’artista, una chitarra che può diventare rumore o lieve accompagnamento, propone uno sguardo narrativo e poco ortodosso, come sempre. Ci si aspetta una specie di folk stratificato, per esempio, nell’avvio di “Hitchhiker”, e poi tutto diviene sussurro, loop, riverbero. Il merito di questo ambizioso quadro sonoro, fatto di echi e richiami a ogni tipo di rifrazioni, è da condividere con Daniel Lanois, vecchia conoscenza di Young che mette a disposizione uno studio, a Silverlake (Los Angeles), pensato per lavorare sui timbri di acustiche, elettriche e basso. Se è vero che Jackson Browne in persona invidia i suoni degli strumenti del Nostro, è altrettanto vero che Le Noise si sorregge sulla suggestione, più che sulla sostanza, senza che ciò sia necessariamente un difetto. Con l’eccezione di un paio di brani che rimarranno nel repertorio maggiore del canadese (noi puntiamo su “Walk With Me”, un blues da apocalisse, “Love And War” e “Peaceful Valley Blvd.”, probabilmente la vetta del disco), ha la meglio un’idea lisergica, quasi, e ciclica del rapporto fra voce, strumenti e la loro trasfigurazione. Non si tratta, quindi, di un album tirato via, senza rispetto per ascoltatori e per se stessi; piuttosto, è una buona esemplificazione dell’inquietudine di chi ha scritto e sperimentato così tanto da poterlo fare ancora, e non si pone barriere, se non quelle dei suoi limiti fisici, qui, peraltro, tutt’altro che evidenti. Neil Young è stato maestro di tante generazioni di giovani: speriamo che dall’ascolto di Le Noise possa accendere qualche scintilla pure per chi oggi ha meno di trent’anni e suona quel miscuglio di stili chiamato “rock”. 
John Vignola, ilmucchio.it

Neil Young ha prodotto con Daniel Lanois un nuovo disco e, parafrasando il nome del conterraneo, lo ha intitolato Le Noise, anche perché il “rumore” è all’essenza del disco stesso. La chitarra di Neil, superamplificata, distorta e manipolata da Lanois è la protagonista assoluta del disco, che ha delle perle splendide (anche acustiche a dire il vero) e alcuni sostanziali “filler”, per i quali è difficile comprendere il perché dell’operazione di maquillage elettromeccanico. Il disco è, comunque, bello, interessante e soprattutto originale, a conferma del fatto che Young non dorme, non riposa, pensa e vive di musica, e cerca di percorrere strade sempre diverse invece di dormire sugli allori, rischiando, magari sbagliando, ma provandoci. 
Ernesto Assante, web


Sarà anche un vecchio leone del rock, Neil Young, ma sa usare benissimo i nuovi mezzi della tecnologia. Dopo aver messo a disposizione (a caro prezzo) nello splendore del Blu-Ray il suo catalogo di rarità e inediti, ora ha usa Facebook per dialogare con i suoi fan che utilizzano questo social network.
Il cantautore/rocker canadese ha annunciato sulle pagine del suo profilo l'album Le Noise, pubblicato ora con annessa applicazione per iPod e iPad. Ma Le Noise, oltre a viaggiare per la rete in formato mp3 o superiore, avrà anche la sua bella versione in vinile e in cd. E a novembre, promette Neil, sarà disponibile anche in Blu-Ray. «L'applicazione per l'iPod e iPad sarà gratuita e darà la possibilità di avere la copertina dell'album interattiva. Perdonatemi l'uso della parola "album", ma io sono ancora della vecchia scuola (mica tanto, Neil!, ndr)».
Il disco, l'album, il cd… insomma la musica di Le Noise è stata registrata in un maniero di Los Angeles, all'inizio del 2010, con il produttore Daniel Lanois, famoso per aver collaborato alla realizzazione di capolavori degli U2, insieme a Brian Eno, e di Bob Dylan. E proprio Lanois, il cui cognome si pronuncia in maniera molto simile al titolo del disco, Le Noise, ha rivelato al periodico americano Rolling Stone la genesi del disco.
«Nell'insieme abbiamo registrato solo un paio di tracce acustiche; per il resto, è tutto elettrico. Non c'era una band vera e propria, e io ho partecipato alla realizzazione finale con le mie sonorità. Non c'è niente di paragonabile a Le Noise e non ascolterete niente di simile».
I brani sono 8 in tutto e Young stesso ne ha anticipato più d'uno nel recente tour teatrale. La canzone che farà più discutere è “Hitchhiker”, che di recente ha eseguito al Ryman Auditorium di Nashville, il tempio del country. Si tratta di un brano autobiografico che Young ha già proposto durante il tour del disco Harvest Moon nel 1992 ed è un elenco delle situazioni difficili in cui s'è trovato e delle droghe che ha assunto durante tutta la sua vita.
«Non mi hai visto a Toronto (dove si è esibito all'inizio della carriera, ndr) quando ho provato l'hashish / ne ho fumato un po' e lo rifarò ancora / Se solo avessi avuto un po' di soldi, allora / Poi ho provato le anfetamine e la mia testa mi sembrava sotto un vetro / Poi è venuta la California (dove ha avuto successo con i Buffalo Springfield e da solo, ndr) / le luci al neon e le notti senza fine / Il dottore mi diede del Valium ma non riuscivo a chiudere gli occhi / E poi venne la paranoia che mi portò via / Non riuscivo nemmeno a firmare autografi / Vivere in campagna mi suonava bene / fumare erba d'estate / Poi abbiamo avuto un figlio, ci siamo separati / vivevo per strada e un po' di cocaina mi serviva per sopportare quel peso / ma la mia testa scoppiò». 
Giulio Brusati, Il Giornale di Vicenza 2010

 
Esaurito il decennio dei 2000, al contempo uno dei suoi più eclettici e tormentati, ma pure artisticamente poco esaltanti, e per la prima volta a diretto contatto con la situazione mondiale (l’instant record isterico di Living With War, la vena ambientalista di Fork In The Road, il mega-concept “corale” di Greendale), Neil Young si affaccia al 2010 ripartendo da se stesso. Deviando per l’ennesima volta la rotta, il “loner” cerca di collegare la rabbia dei suoi anni 70 alle ingenuità dei suoi 80 e alle sperimentazioni più veraci dei 90 in Le Noise, uno dei suoi dischi più “loner” di sempre, adottando soltanto la figura del conterraneo Daniel Lanois per sostituire la sua canonica nevrosi a base di assoli rumoristici e jamming cacofonico con un impeto tecnologico disorientante fatto di effetti elettronici, distorsioni, loop, riverberi, echi, overdub e stereofonie free-form.
Il risultato sembra la naturale prosecuzione degli incubi noise di Arc e Dead Man, ma a conti fatti è ben lungi dal diventare la sua “Metal Machine Music” definitiva; sembra anzi più vicino alle paranoie autoreferenziali del Roger Waters di The Wall.
Sebbene la polpa dell’opera sia essenzialmente neilyoungiana (ballate depresse che sottendono una ferita nel contatto vitale), Lanois ruba spesso e volentieri la scena. L’anthem Rolling Stones-iano di “Walk With Me” è spolpato via via da inserzioni astratte-paradisiache, e da una coda che ne disintegra i connotati a tempo di boogie-woogie. La sua voce è utilizzata come confuso collante ritmico nell’altro, più sempliciotto, anthem di “Angry World”, una rilettura della sua “Hey Hey, My My”, come quella altrettanto distorta, prima che la produzione prenda il sopravvento in una marea caotica.
Il suo programma iconoclasta prosegue nella fantasmagoria a base di toni fuzz fratturati in un cristallo di riverberi di “Someone’s Gonna Rescue You”, e in modo anche più ipnotico in “Rumblin’”, dove la voce quasi lotta contro spasmi di distorsore a tutto volume, scampoli di assoli vaganti e cut-up canori. “Sign Of Love” presenta uno dei suoi migliori riff stentorei, attorniato da echi elettronici, mentre il canto alieno lascia scie di suono tutt’intorno.
Il processo disturba, eccedendo un po’ in enfasi nelle canzoni acustiche, specie in “Peaceful Valley Boulevard”, che altrimenti rimane come una sconsolata “Thrasher” dei 2000.
Appurata la sua consuetudine-mania di raschiare il fondo del barile (“Hitchhiker” ridà nuova vita alla verbosa e salottiera “Like An Inca”), Neil Young e il suo mai rimosso pallino sperimentale giocano la carta della rielaborazione, del riprocessamento maniacale, per scongiurare una volta per tutte l’autoimitazione. Agnelli sacrificali della celebrazione sono le gracili canzoni, che cadono in tutti i sensi a pezzi sotto i colpi di un Lanois persino dittatore (pure parafrasato in pompa magna dal titolo del disco), e che per giunta offrono la testa alla mannaia della distorsione. Un autore ridotto all’osso e, utilmente o inutilmente, elevato al cubo. 
Michele Saran, ondarock.it

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