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Archives Vol.1 1963-1972 - Rassegna Stampa


La prima volta che ne aveva parlato era 23 anni fa, oggi vede finalmente la luce: si intitola Archives Vol. 1 (1963-1972) ed un cofanetto che raccoglie la prima parte di una lunghissima, enorme, completissima antologia del lavoro di Neil Young, dai suoi esordi fino a oggi. Il cofanetto contiene 128 brani, di cui 48 inediti, dalle prime registrazioni casalinghe di un Neil Young poco più che adolescente, fino al trionfo con l'album che ancora oggi resta il più amato dai suoi fan, Harvest. È, sotto tutti i punti di vista, la collezione musicale più ambiziosa che sia mai stata realizzata, un progetto che vuole provare a coprire, con assoluta completezza, l'intero percorso artistico del cantautore canadese, con una grande quantità di inediti e rarità. I brani e i demo del Neil Young teenager sono affascinanti, ricchi di tutti i tentativi del cantautore di trovare una sua voce, un suo stile personale, ma la ricchezza dei dischi che coprono il periodo in cui Young debutta come solista, suona con i Buffalo Springfield, mette su la sua fida compagnia con i Crazy Horse, e incrocia la sua strada con quelle di Crosby, Stills e Nash, fino a realizzare due capolavori come After The Gold Rush e Harvest è decisamente straordinaria. Ci sono live, demo, versioni alternative, e tantissime altre perle inanellate in quella che è la fase eroica della sua avventura musicale, nel passaggio tra gli anni Sessanta e Settanta. Archives è anche un progetto tecnologicamente avanzato, tre versioni differenti, una di otto compact disc, una seconda di dieci dvd (un "disc 0" con altre registrazioni tra il 1963 e il 1965 più il film Journey Through The Past) e soprattutto una terza fatta di dieci blue-ray disc, un "multimedia package" con video, audio e grafica in alta risoluzione, e altre dieci tracce nascoste. 
Ernesto Assante, Repubblica

 
Portatevi la carriola. O comunque andate dal vostro pusher di musica in macchina. L’oggetto è molto scomodo da trasportare in autobus, o a piedi o in metropolitana. I Neil Young Archives - vol. 1 non sono un semplice cofanetto, sono una dependance del vostro ideale appartamento sonoro, un monolocale con servizi, un’esperienza da diluire in qualche settimana di ascolto. Per gli younghiani - non junghiani, quelli sono un’altra storia! - questo giugno 2009 è un mese di giubilo - e di lavoro... Passo indietro. È da circa trent’anni che si parla di questo progetto. Più o meno dal 1977, quando il cantautore canadese pubblicò un doppio antologico intitolato Decade che proponeva alcuni pezzi «misteriosi» fino ad allora sepolti in «archivi» che stavano già prendendo forma. In quell’occasione, si disse che Decade era uno scherzo, rispetto a quello che Neil avrebbe potuto tirar fuori dai cassetti. Nei tre decenni successivi, l’annuncio degli Archives è più volte spuntato... ed è stato sempre rinviato. Nel corso degli ultimi due-tre anni, Young è partito dagli antipasti: tre cd di altrettanti concerti a cavallo fra anni ‘60 e ‘70, due acustici in solitario, uno elettrico (e travolgente) con i fedeli Crazy Horse, Everybody Knows This Is Nowhere. Poi è giunto, finalmente, l’annuncio ufficiale. Gli Archives sono nei negozi. Si viaggia dai 200 euro in su, a seconda dell’edizione che scegliete, e l’idea che si tratti di un «volume 1» è economicamente spaventevole - ma artisticamente entusiasmante, perché questa prima uscita copre la carriera di Neil fino al 1972 e quindi già scorre in bocca l’acquolina per un futuro «volume 2». Perché è vero che i primi anni del Nostro sono epocali (i Buffalo Springfield, l’esordio solista, Woodstock, il sodalizio con Crosby Stills & Nash, fino al successo mondiale di Harvest) ma la seconda metà dei ‘70, con quell’infilata di capolavori che va da Zuma a Tonight's The Night fino alla svolta punk di Rust Never Sleeps, promette altrettante scoperte. Prima di capire cosa si nasconde nelle viscere di questi Archives, sarà bene chiarire che le edizioni in commercio sono tre e richiedono approcci diversi. C’è un’edizione con 8 cd, e vabbè: normale. Ma c’è anche un’edizione con 10 dvd e una con 10 Blu-ray, ed è qui che casca l’asino. Intanto, queste due edizioni contengono anche il film che Neil diresse nel ‘72, Journey Through The Past, e sappiate che per gli younghiani più arrabbiati questo è il vero evento: tale opera è pressoché invisibile da più di 30 anni ed è sempre rimasta avvolta nella leggenda, e poterla finalmente vedere sul televisore di casa è come, per un filologo, sfogliare il manoscritto autografo della Divina Commedia. Sappiate però che tutto, in qualche modo, parte (o riparte) da lì. Perché organizzando i propri materiali vintage su dvd e Blu-ray Neil Young ha portato a termine un’operazione culturale stranissima, trasformando in «visione» ciò che originariamente era solo «ascolto». Ci spieghiamo. Il primo dvd riguarda gli esordi di Neil negli Squires, il gruppo con il quale esordì in Canada nel 1963, a 18 anni. È un dvd, ripetiamo: ma non esistono, ci mancherebbe!, filmati degli Squires. Quindi, che succede? Che voi ascoltate (in qualità sonora molto alta) 15 pezzi di epoca-Squires, dal ‘63 al ‘65, mentre sullo schermo scorrono immagini spiazzanti. Tipo: un giradischi d’epoca che suona il 45 giri che state ascoltando, in tempo reale, un nastro Revox che gira, anch’esso in tempo reale, il tutto inquadrato - con uno stile che mescola vintage e grafica digitale - sullo sfondo di foto, spartiti, ritagli di giornale. Ogni pezzo ha le proprie estensioni: cliccando su «lyrics», ad esempio, si visualizzano i testi. Young ha trasformato la propria carriera in un palinsesto che la tecnologia dvd consente di percorrere in mille modi diversi. È un’immersione nella musica ma è anche qualcosa a metà fra un saggio storico e un videogame. Rispetto a molti suoi colleghi, Neil Young è «avanti»: del resto, se siete internauti, entrate nel suo sito (www.neilyoung.com) e preparatevi a perdervi. Basti dire che nel sito c’è un vero e proprio film che visualizza «on the road» l’ultimo disco Fork In The Road. Questo volume 1 degli Archives sembra quello che il volume 1 delle Chronicles è stato per Bob Dylan: questi due giganti stanno scrivendo, in forme diverse, la propria autobiografia. Facendolo, ci permettono di entrare in una «bottega» artistica della quale erano stati, per anni, gelosissimi. Passati i 60, sono entrambi diventati generosi. Che Dio li benedica. 
Alberto Crespi, L’Unità

 
Se vi fosse capitato di vedere recentemente Neil Young dal vivo avreste potuto ascoltare in concerto brani come “The Sultan” o “Burned”, datati 1964 o 1965, quasi mai o mai eseguiti dal vivo. La ragione è che si è immerso fino al collo in una rivisitazione del suo passato e ha finalmente pubblicato Archives Volume I, 1963-1972, dopo quasi vent'anni di preparativi. Gli Archivi escono in tre formati: come un cofanetto di 10 dischi Blu-ray, una collezione di Dvd - ciascuno dei quali accompagnato da un libro di 236 pagine - e un cofanetto di otto Cd. Nel complesso la retrospettiva vanta oltre 120 canzoni del primo decennio di musicista di Young, dal suo esordio con gli Squires e continua fino al periodo dei Buffalo Springfield, il suo primo lavoro da solista, i Crazy Horse e il quartetto Crosby, Stills, Nash & Young. Circa la metà di queste performance sono inedite. «Abbiamo fatto qualcosa che mai nessuno aveva fatto prima», afferma Young. Diversamente dai Dvd, i Blu-ray, infatti, permettono all'utente di ascoltare la musica e al contempo fare altro. Questo significa che mentre si ascolta per esempio “Ohio” nella versione di Crosby, Stills, Nash & Young, l'utente può leggere le informazioni relative al brano, vedere le foto della band sul palco del Fillmore East a New York, prendere visione del manoscritto originale dei versi scritti da Young, ammirare le copertine che Time e Life Magazine dedicarono alla sparatoria alla Kent State University che ispirò le parole del brano e infine guardare una copia del singolo 45 giri e della sua copertina. E ogni cosa potrà essere aggiornata con il BD-Live, che consente agli utenti dei Bluray disc di scaricare aggiornamenti gratuiti. «La gente non capisce più il valore della musica» dice Young. «Ma qualcuno dovrà pure avere la forza di salvare questa forma d'arte. La mia responsabilità qui è di dimostrare che è possibile offrire musica di qualità superiore e con un contenuto profondo. Io quindi la offro. Nella mia città la musica è Dio. Quindi devo essere al massimo, come se i miei giorni fossero finiti. In realtà ne ho ancora tanti di giorni davanti a me». Perché ha sentito la necessità di raccogliere tutto il tuo lavoro in questo modo? «La mia musica e il modo col quale è presentata sono davvero inseparabili e indistinguibili. Io del resto faccio questo: racconto storie. È qualcosa che ho voluto fare da tutta una vita e nel farlo sono diventato parte integrante nella creazione di una piattaforma tecnologica che è molto più avanzata e all'avanguardia di quanto io stesso potessi prevedere in origine». A lei non piace parlare di canzoni particolari, né di come scrive canzoni. «Credo che parlarne non ne valga la pena, per quanto mi riguarda. È così difficile scrivere. È qualcosa che accade e basta. É come respirare...come quando cambia il vento...una cosa del genere». Ma la gente si chiede come accada tutto ciò. «Beh, non posso dire di che cosa si tratta. Innanzitutto perché è sempre diverso, per tutte le canzoni e non riesco a ricordami nemmeno la metà dei processi creativi. Direi che le canzoni migliori sono quelle che nascono rapidamente, di getto, già complete, senza editing, senza correzioni. Appaiono e basta». E cosa dice del suo percorso come chitarrista? Ci sono stati dei chitarristi che l'hanno influenzata? «Beh, Jimi per forza, certo. Mi piaceva. Lo seguivo sempre in tutto quello che faceva. Ma non molti altri. Ascoltavo spesso i primi brani di Hendrix. Era in assoluto la cosa migliore allora e la tenevo sempre sotto controllo. Volevo vedere in quale direzione sarebbe andato». Come definiresti il tuo modo di suonare come chitarra principale? «Fa schifo. È pura schifezza. Mi perdo completamente quando suono la chitarra. Suono una melodia, la ripeto in continuazione, poi cambio tonalità, piego una corda, e così via... sono completamente coinvolto in quello che sto facendo. Sono tutt'uno con la musica. Ma fa schifo. Mi sono riascoltato». Quali pensi che siano i tuoi punti di forza? «Le melodie, il senso del ritmo, la determinazione. Ma non sono miei specifici, sono di tutta la band. Sono di chiunque c' è al momento. Quando io suono ascolto tutto, cerco di assorbire e convogliare tutto con la mia chitarra. La mia chitarra è la mia band tutta intera!». Pensi che ci sia una canzone particolare in Archives che coglie la vera essenza di Neil Young come musicista? «Nessuna. Nessuno. É troppo vasto, contiene troppe informazioni. Puoi anche avvicinarti finché vuoi, ma poi finisci con l'allontanarti troppo e ti tocca ritornare indietro. È il quadro, un enorme quadro...ma è tutto lì». 
Repubblica



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