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Sugar Mountain Live at Canterbury House 1968 - Rassegna Stampa


(clicca per ingrandire)
di Paolo Vites da JAM


Fra tutte le registrazioni "inedite d'archivio" pubblicate lo scorso anno, Sugar Mountain: Live at Canterbury House 1968 di Neil Young era senz'altro una delle più attese.
E questo in ragione sia della vasta popolarità di cui a tutt'oggi gode il musicista canadese che della (sperata) qualità (artistica e sonora) dell'esibizione, un estratto della quale - si tratta proprio del brano da cui l'album prende il titolo - ampiamente conosciuto e apprezzato (almeno) sin dai tempi (ormai molto lontani) di Decade.
Abbiamo quindi letto con un certo interesse la recensione dell'album scritta da Jon Savage apparsa sul mensile anglosassone Mojo (si tratta del #182 datato January 2009). Una recensione tutto sommato soddisfacente, anche se ci ha un po' sorpreso che Savage abbia ritenuto di non dover fare alcun accenno alla canzone di Joni Mitchell “The Circle Game”, scritta proprio "in risposta" a “Sugar Mountain”. Una circostanza che Savage ha forse ritenuto fin troppo nota, ma che da parte nostra - al di là della rilevanza dello specifico episodio in questione - diremmo perfetto esempio (con particolare riguardo ai lettori più giovani) di quella condizione di multiforme "dialogo a distanza" che per tanti artisti di quel tempo era cosa assolutamente normale e che nel mondo "insulare" di oggi diremmo essere del tutto assente.
Curiosi di vedere come altri recensori avessero trattato l'album abbiamo fatto la cosa più logica: abbiamo consultato l'ormai noto "aggregatore" Metacritic. E tra i vari quotidiani e periodici rappresentati ne abbiamo scelto uno della categoria "non cartacea": Pitchfork.
Apparsa in data December 5, 2008 a firma Marc Masters, la recensione si è subito rivelata una di quelle che ci fanno aggrottare continuamente il sopracciglio, tante e tali le cose che trovavamo a dir poco discutibili. Almeno finché non siamo arrivati a una frase che ce le ha fatte alzare tutt'e due: "(...) questa registrazione rivela una versione bramosa e nervosa di Young - una versione che è esistita per breve tempo, presto scomparsa nel bagliore del suo successivo successo solista". (Per i curiosi, ecco come suona l'originale: "(...) this recording reveals an eager, nervous version of Young - a version that existed briefly, soon gone in the flash of his subsequent solo success.")
(Per un attimo ci è sembrato di stare leggendo The Wire, dal linguaggio pomposo all'assenza di elementi di fatto che - associazione casuale, o strategia studiata a tavolino - si accompagna pressoché sempre a questo tipo di linguaggio.)
Ma cosa è accaduto dopo "il bagliore del suo successivo successo solista"? Quale esso sia è indubitabile: trattasi di Harvest, unico vero successo di Neil Young. Tolte di mezzo le supposizioni, il fatto certo è che Danny Whitten - il chitarrista da tempo collaboratore di Young - dovette lasciare il gruppo alla vigilia di un tour in ragione del suo stato e morì per overdose quella notte stessa. Il tour che ne seguì fu per repertorio e presentazione quanto di più autolesionista per un artista che si trovi ad affrontare per la prima volta un pubblico di massa, e lo stesso vale per Time Fades Away, l'album dal vivo che proprio da quel tour fu tratto (il lettore eventualmente interessato troverà da qualche parte della Rete una petizione da firmare perché esso appaia per la prima volta in formato CD).
Dopo Time Fades Away era prevista l'uscita dell'album Tonight's The Night: troppo funereo, fu messo da parte in favore del più allegro (!) On The Beach. Doveva poi essere la volta di Homegrown, che in quanto troppo depresso impose il recupero del più allegro (!) Tonight's The Night. E non c'è bisogno di essere dei fan sfegatati di Neil Young per sapere queste cose. Allora? 
Beppe Colli, cloudsandclocks.net


Era il 1968, Neil Young a 23 anni usciva dall'esperienza dei Buffalo Springfield con risultati più o meno positivi ma sicuramente importanti per la scena del rock americano. Lo ritroviamo subito dopo a rafforzare la sua identità, già comunque ben delineata e precisa con la sua inconfondibile voce, il suo modo di cantare e scrivere è cosi originale che la storia poi lo porterà a diventare icona di vari generi musicali dalla psichedelica al rock al country, icona così forte e così importante che grandi gruppi come i Pearl Jam, i Nirvana e tutto il movimento Grunge di Seattle deve qualcosa al suo modo di fare musica e di essere spontaneo e artista fino in fondo.
Sugar Mountain - Live at Canterbury House 1968 è un album live appena uscito e fa parte degli archivi che il nostro artista sta rispolverando e portando finalmente alla nostra conoscenza e dai quali sono già usciti un live elettrico ed uno acustico.
In quest'album è contenuto il meglio dei due concerti tenuti il 9 e il 10 novembre 1968 durante il suo primo tour acustico alla Canterbury House in Michigan. Sicuramente avremmo preferito ascoltare un intero concerto come è già successo per i due live prima di questo. Comunque possiamo sentire versioni di brani di epoca Buffalo Springfield come “On The Way Home”, “Mr. Soul”, o versioni del suo repertorio che poi diventeranno fondamentali nella sua discografia come, “Last Trip to Tulsa”, “Sugar Mountain”, “The Loner”.
Il suo modo di cantare non è al massimo, appare un po' svogliato ma a tratti sa essere comunque coinvolgente. Durante l'ascolto si capisce che l'audience non doveva esser composta da molte persone tanto da far pensare ad una performance casalinga, come una chiacchierata tra amici ma è anche vero che in quest'album si percepisce la grande concezione della sua musica ovvero la parte acustica e la parte elettrica, perché in tutte e due le versioni Neil Young è sempre scarno, semplice con suoni naturali e senza fronzoli, in questo concerto prende la sua chitarra la suona e canta. Chitarra e basta. Un uomo e la sua musica. Non usa virtuosismi, se non quel suo caratteristico modo di suonare con note stoppate e arpeggi stile country.
Per concludere non è decisamente un live importante nella storia di Neil Young ma è una testimonianza dell'opera di un artista che ancora dopo tanti anni riesce a dare emozioni con la sua musica e il suo modo di cantare.
Piccola nota a margine nella confezione oltre al Cd è incluso un Dvd dove l'album è campionato ad una frequenza migliore del Cd e quindi ascoltabile da impianti Hi-Fi professionali. 
Claudio Lodi, sound36.com


Dopo che tra 2006 e 2007 avevamo avuto ben sei uscite (compreso il dvd Heart Of Gold), nel 2008 di Neil Young si erano discograficamente perse le tracce: numerosi date sia in Europa che Stati Uniti e Canada certo, poi le solite voci sugli Archivi, gli annunci di dischi live (uno del 1969, uno del 1992), e poi ancora il dimenticato Toast del 2000 registrato con i Crazy Horse, ma niente di concreto, fino all'uscita di questo Sugar Mountain – Live at Canterbury House 1968.
Terzo volume (in realtà è il 00, ma sulle stranezze younghiane si possono scrivere diversi libri) delle Performance Series (il n° 3, Massey Hall 1971, è stato #1 in Canada e #6 negli U.S.A.), Sugar Mountain ci offre il meglio di due spettacoli organizzati quasi per caso all'ultimo momento ad Ann Arbor, Michigan, nel novembre '68.
L'avventura con i Buffalo Springfield era finita malamente e il canadese si trovava timoroso a testare un pugno di canzoni inedite registrate in California nelle settimane precedenti. Il primo disco solista sarebbe uscito da lì a poco e ne fanno parte “The Loner”, “If I Could Have Her Tonight”, “I've Been Waiting For You”, “The Old Laughing Lady” e la visionaria “Last Trip To Tulsa”.
Dal repertorio Springfield Young si porta dietro “Broken Arrow”, “On The Way Home”, “Expecting To Fly”, “Out Of My Mind” e due canzoni arrivate in classifica (seppur come retro di singoli) come “Mr. Soul” e “Nowadays Clancy Can't Even Sing”.
Niente male come song-book, per un ventitreenne! In più c'è un accenno a “Winterlong”, c'è “Birds” che apparirà nel capolavoro After The Gold Rush e c'è ovviamente “Sugar Mountain”, che rimarrà inedita su album fino al 1977 (era sul triplo Decade), ma come retro di “Heart Of Gold” (1972) arriverà al n° 1 in classifica!
Un documento storico prezioso, suono brillante, Sugar Mountain ci presenta il Neil Young più intimista, emozionante nella sua freschezza; tra un pezzo e l'altro racconta diversi aneddoti, anche divertenti, quasi ad esorcizzare "la paura" di trovarsi per le prime volte da solo davanti ad un pubblico importante. E pensare che negli anni, "la metà" acustica di Young diventerà sicuramente quella più apprezzata, a dispetto di quella "elettrica"… 
Luca Vitali

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