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The Visitor: recensioni internazionali


Negli ultimi anni i nuovi album di Neil Young sono parsi essere limitati e costretti da restrizioni autoimposte. The Visitor, la sua nuova collaborazione con i Promise Of The Real, è ampio e omnicomprensivo. Se c'è un collante, il tema trattato può essere descritto come lo sguardo risoluto di Young allo stato delle cose nel mondo, in tutta la sua miserabile bellezza e nelle sue promesse sfumate. Non definiamolo un ritorno, ma sembra proprio esserlo.
Innanzitutto ha trovato dei collaboratori che gli consentono di vagabondare con destrezza tra confini stilistici per poi tornare al suo posto. Nei momenti più forti, i Promise Of The Real seguono abilmente Young attraverso il crudo R&B (“Stand Tall”), l'inno rock (“Children Of Destiny”) e in territori difficilmente descrivibili (“Carnival” suona come un enorme picco in un deserto desolato). E quando Young si fa calmo e meditativo, la band sa come supportarlo con tocchi delicati, senza sovrastarlo.
Young utilizza alcune delle tracce più rock come pulpito per attaccare l'Ufficio Ovale; tra le cose più carine che dice, definisce Trump un “ospite da telequiz”. Ma soprattutto vuole fare un discorso incoraggiante ai cittadini americani. L'eccellente traccia apertura “Already Great” mette insieme acidità e ritornelli onirici, fornendo la prospettiva di un canadese che guarda i suoi vicini a Sud con empatia e affetto. “Children Of Destiny” mette insieme esortazioni decise con versi più calmi sorretti da un'orchestra, che descrivono lo scenario peggiore che può avvenire quando i cittadini retrocedono e non dicono nulla.
Anche nelle canzoni più brevi e riempitive, Young ci dà dentro con spasso. The Visitor lascia spazio anche a un paio di due sconclusionate epiche acustiche. “Almost Always” procede a grandi passi tra osservazioni politiche e personali, mentre “Forever” si prende dieci minuti e mezzo di gloria per sviscerare le visioni utopiche di Young e le sue preoccupazioni a proposito dell'ambiente. “Voglio davvero fare la differenza”, canta. Come se non l'avesse già fatta. Come se non la stesse facendo ancora.
Voto **** (su 5)
American Songwriter

[…] The Visitor non raggiunge gli stessi estremi sperimentali [di Greendale o Le Noise] ma è irregolare in modo curioso e gradevole. Young ha sempre esplorato e giocato con il genere, ma forse mai con così tanta varietà come su questo album. Il single “Already Great” ci ricorda le chitarre distorte e l'innata maestosità dei Crazy Horse, mentre “Carnival” offre ritmi da bossa-nova e “Diggin' a Hole” è un blues lento e paludoso. Ma lo shock più grande arriva da “Children Of Destiny”. La canzone è a malapena un ridicolo brano da spettacolo. Sì, proprio così. Ma curiosamente l'assurdità è metà del fascino, se abbinata alla sua sfrontata positività e alla voce acuta e toccante di Young. […] Apparentemente non è Young nella sua miglior poesia od originalità, ma nel suo piccolo la mancanza di ironia e l'abbondanza di sincerità ci mostra il cantautore al suo apice sovversivo e provocatore.
Young mantiene sempre un punto di vista temperato e incoraggiante. “Already Great” celebra gli aspetti positivi degli USA (“Amo questo stile di vita/ La libertà di agire e la libertà di parlare”), sottolineando l'urgenza di rivoltarsi contro l'amministrazione Trump per la distruzione che sta operando nei confronti di quelle stesse libertà (“Niente mura/ Niente proibizioni/ Niente fascismo in USA”). […]
I componenti dei Promise Of The Real e la produzione “naturalista” del disco supportano i pensieri di Young con un autentico senso di pragmatismo. Si tratta di scelte costruttive. […] “Change of Heart” è potente nella sua pacatezza, un'ode all'apertura come principio di cambiamento, che dice “parlate alla gente/ sa la verità”. E intende tutti: giovani, vecchi, ricchi, poveri, di colore, gay […]. Il punto è non mollare: Neil Young, a 72 anni, ormai un vecchietto, non lo fa.
Voto 8 (su 10)
Drowned In Sound

[…] “Sono canadese, a proposito, e amo gli USA”, canta nella prima canzone dell'album, “Already Great”. “Siete già grandi/Siete la terra promessa, la mano che aiuta/Niente mura, niente odio, niente fascismo in USA”. E questo è più o meno il tono di tutto The Visitor, carico di chitarre elettriche e voci affannate, con alcune deviazioni lungo la via, come la più dolce e acustica “Almost Always”, che non si allontana dal suo messaggio anti-Trump: “Vivo insieme a un ospite da telequiz che si vanta di demolire le cose che mi stanno a cuore.”
Da un lato, The Visitor è narrato dalla voce di uno straniero che visita una terra snaturata da tumulti e dissensi. Le canzoni più lineari e pesanti, quelle dove Young e i Promise Of The Real suonano ad alti volumi come i Crazy Horse, azzeccano questa prospettiva meglio di quelle unplugged o più bizzarre, come gli otto minuti di “Carnival”, che travalica i confini meridionali sfiorando la stravaganza e il valzer circense, o “Diggin' a Hole”, un pigro blues durante il quale tutti sembrano perdere interesse, o “Children Of Destiny”, del tutto sopra le righe con un ritornello che sembra uscito da uno spettacolo di Broadway.
Quando Young sta più coi piedi per terra, sia musicalmente che sui temi su cui l'album si concentra, riesce meglio a osservare il paesaggio politico e culturale dell'ultimo anno. Peace Trail aveva un approccio similare ma sembrava più la rabbia di un vecchietto che si incazza contro i titoli di giornale che legge ogni giorno; The Visitor è più focalizzato e stemperato. Persino la chiusura di nove minuti di “Forever”, una lunga parabola acustica, cerca di trovare una soluzione al casino in cui ci troviamo. “Voglio davvero fare la differenza”, canta Young su una delle fondamenta più delicate e solide dell'album. […]
In The Visitor ritroviamo Young bloccato in qualche modo tra le sue buone intenzioni ma incapace di vedere bene il progetto nella sua totalità. Sì, il paese è ancora un casino. E no, non abbiamo bisogno di uno sconsiderato egomaniaco che intende farci a pezzi. Messaggi semplici per un'epoca nient'affatto semplice. Un visitatore reale attraverso questa terra avrebbe probabilmente trovato maggior profondità e complessità nelle tematiche a portata di mano. […]

[…] Sebbene i suoi testi attuali siano espliciti, The Visitor non è facilmente riassumibile. Non è una semplice collezione di protest-songs, e persino i suoi brani più taglienti offrono una fotografia più ampia, incorporando osservazioni politiche con vari pensieri, piuttosto che enunciando dichiarazioni. […] Se gli ultimi lavori di Young sono sembrati delle immersioni testarde nelle sue ossessioni personali – interessanti più per il solo fatto di esistere che non per essere ascoltati – questo The Visitor è molto più onnicomprensivo e, come risultato, molto più bilanciato.
Voto: 6.7 (su 10)
Pitchfork

The Visitor eccelle in quel genere di attenzione al dettaglio e di immaginazione musicale che mancavano a Young negli ultimi anni. Se negli scorsi album la backing band californiana dei Promise Of The Real (che vede due dei figli di Willie Nelson, Lukas e Micah) sembrava una versione “in saldo” dei Crazy Horse, qui è superbamente versatile.
Voto: 7.5 (su 10)
The Line Of Best Fit


L'ultimo album di Neil Young insieme alla rock-band Promise Of The Real si apre con "Already Great", dove le chitarre tagliano come aratri arrugginiti e le invettive anti-Trump diventano un omaggio amaro: "Siete la terra promessa/ Siete la mano che aiuta/ Niente mura, niente odio, niente fascisti in USA". Tutto The Visitor è cosparso di questo senso di furiosa irascibilità e di idealismo senza età.
Voto: ***1/2 (su 5)
Rolling Stone

[Young] casca in una delle sue peggiori abitudini proponendo quei pessimi jingle di protesta che hanno reso album come Greendale o Living With War così maledettamente inascoltabili. Ma la buona notizia è che qui ci sono solo due canzoni così: “Stand Tall” e “Children Of Destiny”. […] Le restanti otto alzano il livello perché sono tra le cose migliori che Neil Young ha pubblicato in questo nuovo secolo.

L'approccio a fucilata può essere privo di attenzione, ma Young suona energizzato dal bisogno di confrontare l'odio e le divergenze con l'umanità e la speranza.
Voto *** (su 5)
The Guardian

Young e la band con cui suona sembrano aver scritto e improvvisato le canzoni in pochi giorni, contando sulla forza del sentimento che le ha generate. Purtroppo una jam session e testi scontrosi non fanno un grande album, e non farà convertire nessuno, purtroppo sia per la musica che per gli interessi di Neil Young.
AVClub
Voto: C-

Classic Rock
Voto: 8 (su 10)

Mojo
Voto: **** (su 5)

The Times
Voto: *** (su 5)

Irish Times
Voto: *** (su 5)

Globe And Mail
Rece positiva

Slant Magazine
Voto: ***1/2 (su 5)

Allmusic
Voto: **1/2 (su 5)

Newsday
Voto: *** (su 4)

The Independent
Voto: ** (su 5)

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